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15 gennaio 2012 7 15 /01 /gennaio /2012 10:21
Forlì, Musei San Domenico piazza Guido da Montefeltro
28 gennaio - 17 giugno 2012
L' incredibile eccellenza tecnica e lo straordinario eclettismo dell'artista furono attaccati sia dai conservatori, che non lo vedevano allineato per i contenuti
ancora pervasi dal Simbolismo e per le scelte formali caratterizzate da richiami
nordici (gotici ed espressionisti) estranei alla tradizione mediterranea e all’arte di regime, sia dai sostenitori del moderno che mettevano in discussione la sua fedeltà alla figura, la vocazione monumentale, il continuo dialogo con i grandi scultori e pittori del passato, e la fedeltà alla scultura intesa come esaltazione della tecnica e del materiale tradizionalmente privilegiato - il marmo - che lui sapeva lavorare raggiungendo effetti sorprendenti, sino alla più elevata purificazione dell’immagine.

Questi aspetti, che ne hanno determinato per lungo tempo la sfortuna,
esercitano oggi un nuovo fascino che solo una grande mostra potrebbe finalmente restituire.
Partendo dall’eccezionale nucleo di opere conservate a Forlì, dovute al mecenatismo della famiglia Paolucci de’ Calboli, protagonista della storia della città e di quella nazionale, è oggi possibile radunare una serie di straordinari capolavori di Wildt e ricostruire il percorso più completo della sua produzione sia scultorea, sia grafica.
L’idea che governa questa esposizione è quella non di una rassegna di carattere monografico, ma di un percorso che metta in rapporto le sue opere con quelle degli artisti - pittori e scultori - del passato (gli antichi come Fidia, Antonello da Messina, Dürer, Bramante, Michelangelo, Bramantino,
Bronzino, Cellini, Bernini, Canova..) e i moderni (Previati, Dudreville, Mazzucotelli, Rodin, Klinger, Klimt, De Chirico, Casorati, Martini, Messina, Fontana..) con cui si è intensamente e
originalmente confrontato, attraversando ambiti diversi della vicenda artistica, come il Liberty, il Simbolismo, il Decò, il
classicismo novecentesco, l’eclettismo tra richiami al Quattrocento, al Manierismo, al Barocco, al Realismo magico.

Mentre i temi da lui privilegiati, come quelli del mito e della maschera, gli consentirono di dialogare anche con la musica (Wagner) e la letteratura contemporanea, da D’Annunzio (che fu suo collezionista) a Pirandello e Bontempelli; così è stato un superbo ritrattista che con i magnifici busti colossali di Mussolini, Vittorio Emanuele III, Pio XI, Margherita Sarfatti, Toscanini, e di tanti eroi di quegli anni ha saputo creare un Olimpo di inquietanti idoli moderni.
Grazie al suo insegnamento a Brera e alla sua originalissima idea di scultura, che non escludeva la ricerca polimaterica e una erosione anche dall’interno della forma alla conquista di nuovi effetti volumetrici e spaziali, la sua eredità la ritroviamo nelle opere dei suoi allievi prediletti, Lucio Fontana (dal 1927) e Fausto Melotti (dal 1928), destinati a diventare i protagonisti di un nuovo modo di concepire la forma.
I “tagli” o le occhiaie scavate e dorate dei volti di Wildt anticipano in maniera sorprendente i famosi “tagli” di Fontana.

I lunghi studi di Paola Mola, indiscussa conoscitrice dell’artista (che cura, insieme a Fernando Mazzocca e Antonio Paolucci, anche questa mostra), la disponibilità dei documenti e delle splendide fotografie d’epoca dell’Archivio
Scheiwiller (il grande editore milanese che per via familiare ha ereditato molte opere e i materiali di Wildt), consentono
una ricostruzione dettagliata e davvero affascinante della biografia, delle relazioni, delle committenze europee di questo protagonista assoluto di un periodo che del resto a Forlì e nel territorio ha lasciato testimonianze di scultura (Boifava, Drei), di urbanistica e di architettura (Bazzari, Valle) di straordinario livello, da riscoprire e valorizzare in occasione della mostra, con una serie di itinerari e di eventi opportunamente studiati e programmati. Così come andrà riportato alla luce il dibattito culturale locale e i suoi protagonisti che svolsero talora anche un ruolo nazionale.
L’insieme di queste iniziative, attorno e attraverso la mostra dedicata ad Adolfo Wildt, consentirà di rileggere la vicenda novecentesca della città e della Romagna.
Ancora una volta il percorso espositivo si articolerà all’interno delle grandi sale che costituirono la biblioteca del Convento di San Domenico e nelle stanze del piano terra dove si sono tenute le sei precedenti mostre.
La mostra è ideata e realizzata dalla Fondazione della Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di
Forlì e i Musei San Domenico.
Orari di visita:
Da martedì a venerdì dalle 9.30 alle 19.00.
Sabato, domenica e giorni festivi dalle 9.30 alle 20.00.
Lunedì 9 e 30 aprile apertura con orario festivo. La biglietteria chiude un'ora prima.

Biglietti: intero € 10,00 ridotto € 7,00
gratuito per bambini fino a 6 anni
Informazioni e prenotazioni:
tel.199.75.75.15
servizi@civita.it

www.mostrawildt.it
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6 gennaio 2012 5 06 /01 /gennaio /2012 09:57
Alla Gnam di Roma una mostra dedicata al movimento nato alla fine degli anni Sessanta, con un focus sull’artista pugliese, di cui sono presentate venti opere
Pino Pascali, Ricostruzione del dinosauro, 1966, tela grezza trattata con vinavil e caolino tesa, su centine di legno, sedici elementi, cm 100 x 680 × 66 circa, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Pino Pascali, Ricostruzione del dinosauro, 1966, tela grezza trattata con vinavil e caolino tesa, su centine di legno, sedici elementi, cm 100 x 680 × 66 circa, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Dal 21 dicembre 2011 al 4 marzo 2012, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma presenta un’ esposizione dedicata all’Arte Povera, inserita nel grande progetto curato da Germano Celant che ha preso il via nel mese di settembre Arte Povera 2011”. L’iniziativache rende omaggio al movimento nato nel 1967 attorno agli artisti Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio si svolgerà fino all’aprile 2012 in diverse città d’Italia: a Torino, Milano, Bergamo, Bologna, Napoli e Bari.
 
Con la riapertura al pubblico della Gnam e il nuovo allestimento, viene, così, inaugurata la rassegna curata da Maria Vittoria Marini Clarelli e Massimo Mininni, che prende vita attraverso le opere di Alighiero Boetti Mimetico (1966, in prestito dal Maxxi), Luciano Fabro Buco (1963-1966), Giulio Paolini Ennesima (1975-1988), Giuseppe Penone Spoglia d’oro su spine d’acacia (2002), Michelangelo Pistoletto I visitatori (1968), Jannis Kounellis Z-44 (1960) e Senza titolo del1966; Gilberto Zorio Senza titolo del 1967.
 
In particolare, nell’ambito dell’itinerario, spicca la figura di Pino Pascali, in una sezione monografica che rende visibile venti delle ventisette opere conservate nel museo. Il nucleo di lavori esposti è di grande impatto, sia per la quantità che per il valore artistico, tanto che si ammirano alcune delle opere più famose dell’artista, come Botole ovvero lavori in corso del 1967, Ricostruzione del dinosauro del1966, Cornice di fieno del1967, L’arco di Ulisse del1968. Anche la scelta della sala è significativa e riflette il gusto di Palma Bucarelli, storica soprintendente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, che già nel 1972 aveva pensato di riservare questo spazio all’artista, verso il quale nutriva una grande ammirazione, a seguito della donazione delle sue opere da parte della famiglia. La storia dell’a cquisizione è ben documentata nel saggio di Barbara Tomassi Le storie dell’arte nel catalogo dell’esposizione edito da Electa.
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6 gennaio 2012 5 06 /01 /gennaio /2012 09:25

 

 

 

 

 

 

 

 

Situata sulla destra del fiume Liri e ultima Città dello Stato Pontificio, al confine del Regno di Napoli, fa risalire le sue origini nella fase dell’incastellamento del secolo IX, nel periodo della Civitas Verulana. Pochi sanno che il nome di questa ridente e soleggiata cittadina della provincia di Frosinone era anticamente Castelforte, forse proprio perché protetta da un Castello quasi inespugnabile. La sua fortezza, perfettamente conservata, domina ancor oggi le valli intorno con una presenza imponente e autorevole, come lo Stato della chiesa voleva fosse ben chiaro al confinante Regno delle due Sicilie.

Non è difficile a chi piace fare trekking sui monti intorno, incontrare le famose “colonnette” (piccole colonne) altro non sono che i cippi in pietra che segnano ancora l’antico confine, riportando su un lato il giglio simbolo del Regno Siculo-Napoletano e dall’altro lato le due chiavi incrociate simbolo del Papato. E’ bello scoprire passeggiando per i vicoli finestre antiche, balconcini stupendi, portali di incomparabile bellezza e angoli caratteristici che sono perfettamente conservati, e …. la memoria del tempo passato.

 

Il centro storico, adagiato sul crinale di un’amena collina ha un’aria purissima e balsamica ed un clima salubre. La sua struttura urbanistica è una chiara evidenza dell'edificazione di tipo medievale molto comune in Italia e, in particolare, nel Lazio. All'epoca, infatti, i centri abitati si sviluppavano tendenzialmente sulle alture, intorno all'edificio principale, il castello, luogo di residenza del signore del luogo.

 

Nelle bolle papali inviate ai Vescovi di Veroli per la conferma della dipendenza della chiesa di S. Giovanni Battista ed Evangelista alla diocesi, la città è indicata con il nome di "Montis Sancti Joannis". Il 15 luglio 1592 Castelforte mutò il proprio nome in Monte San Giovanni per volontà di Papa Clemente VIII. Il nome del centro si completò nel 1872 con "Campano", ad indicazione dell'appartenenza alla provincia detta "Campagna" dell'allora Stato della Chiesa. La specifica fu necessaria per distinguerla da un omonimo centro: Monte San Giovanni in Sabina (Rieti)

 

Monte s. Giovanni Campano

Piazza G. Marconi, 1

 

Cap 03025 - Tel. 0775 28991 - Fax 0775 289175

 

comune@comune.montesangiovannicampano.fr.it

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25 novembre 2011 5 25 /11 /novembre /2011 20:45
Alla Triennale di Milano la mostra antologica dedicata al movimento nell’ambito di un più ampio progetto espositivo che coinvolge vari musei d’Italia. L’allestimento individua due fasi, dal 1967 al 1975 e dal 1975 al 2011 

25 ottobre 2011 - 29 gennaio 2014

"Arte povera 1967-2011", Allestimento, foto di Marco Curatolo

"Arte povera 1967-2011", Allestimento, foto di Marco Curatolo

Per la prima volta, viene presentata a Milano una rassegna antologica sul movimento dell’Arte Povera, cui viene dedicato uno spazio di circa di tremila metri quadrati presso la Triennale.Il percorso espositivo rende visibile al pubblicooltre sessanta opere, che raccontano l’evoluzione dagli esordi fino ai giorni nostri del movimento, nato nel1967 attorno agli artisti Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio.

L’itinerario si snoda sui due piani dell’edificio progettato da Giovanni Muzio nel 1931 e presenta, al pian terreno, nella Galleria dell’Architettura disegnata da Gae Aulenti, le opere storiche realizzate dal 1967 al 1975 circa, mentre nei grandi spazi aperti del primo piano del Palazzo si ammirano i lavori dal 1975 al 2011. Lo sviluppo cronologico proposto permette al visitatore di cogliere alcuni degli aspetti specifici del movimento e, in particolare, i cambiamenti che ne hanno segnato l’evoluzione nel tempo. Difatti, come rivela il termine stesso utilizzato per la prima volta nel Settembre 1967 da Celant in occasione della mostra genovese “Arte povera + Imspazio”, il movimento si caratterizzava per l’apertura nei confronti tanto dei materiali quanto delle forme di espressività, al punto da comprendere qualsiasi manifestazione naturale e artificiale, corporale e meccanica, a cominciare dagli elementi animali fino a quelli vegetali. Nel corso del tempo, tali ricerche subirono un cambiamento sempre più visibile, passando da una grande compressione materica affidata a entità segniche primitive (fuoco e pietre, carbone e igloo, ghiaccio e vegetale, piombo e gesso, tubo fluorescente e vetro, nylon e specchio, etc.) fino alle installazioni in cui crea una relazione tra opera e ambiente, movimento e architettura.

L’esposizione, che sarà visitabile fino al 29 gennaio 2012, rientra nel progetto “Arte Povera 2011”, la mostra-evento a cura di Germano Celant, che si terrà dall’autunno 2011 fino ad aprile 2012 in diverse istituzioni italiane. Difatti, a più di quarant’anni dalla nascita del movimento, la Triennale promuove, insieme al Castello di Rivoli Museo d’Arte contemporanea, il progetto, che può essere considerato per la sua ampiezza e per il numero di soggetti coinvolti, come uno dei più significativi realizzati finora su un movimento chiave dell’arte contemporanea italiana. Nella residenza sabauda si ammirano le opere storiche dei protagonisti che sono messe in dialogo con i capolavori di illustri personalità della scena internazionale dell’epoca, mentre la Triennale di Milano si occupa dell’intero arco storico dell’Arte Povera; le altre istituzioni, invece, presenteranno rassegne che si focalizzano su aspetti specifici delle ricerche di questi artisti. 
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20 novembre 2011 7 20 /11 /novembre /2011 11:02

È la più grandiosa e spettacolare necropoli rupestre d’Etruria e d’Italia. Le tombe a finto dado o a dado (dal IV al I sec. a.C.) sono disposte a terrazze negli aspri declivi prospettanti il centro urbano. Quelle del livello superiore hanno alte facciate coronate in alto da varie modanature con scolpita al centro la Finta Porta al di sopra di ambienti semplici o porticati scavati nella roccia ove non mancano tracce di intonaco e colori diversi. I vasti, quanto disadorni ipogei sepolcrali sono in basso con all’interno sarcofagi semplici o scolpiti con la figura del defunto o con più spesso larghe banchine con una sequenza ininterrotta di fosse ai lati di un esiguo corridoio centrale. Nelle parti inferiori delle rupi le tombe a dado, spesso costruito intero o in parte, sono più semplici e consistono in una facciata sempre comunque adorna del rilievo della Finta Porta che sovrasta una modesta camera funeraria.
La necropoli più visibile è quella del fosso Pile, ove si ha la Tomba Ciarlanti (con la camera di sottofacciata divisa in tre vani) la tomba a Camino, le grandiose tombe Smurinas, la tomba Prostila, la Tomba del Caronte con una figura di questo demone scolpita ad altorilievo sulla facciata, la tomba Gemina e, più a monte, la tomba delle Tre Teste con volti forse di divinità infere che sporgono sopra l’architrave della Finta Porta. Le tombe più spettacolari tuttavia sono nella necropoli posta lungo il fosso dell’Acqualta al vertice dell’abitato con due grandi tombe le cui facciate riproducono quella di un tempio dorico (III sec. a.C.) con frontoni, fregi, dentellature, protomi e acroteri scolpiti. Entro il frontone di sinistra mancante della metà oggi al Museo archeologico di Firenze un folto gruppo di armati convergono al centro, mentre su quello di destra solo tre figure sotto il vertice. Nell’ambiente sottostante che unisce i due monumenti è scolpito a rilievo, ma eroso dal tempo un corteo funebre alla presenza di un demone alato con sullo sfondo una panoplia di armi. Il tutto era intonacato e dipinto a più colori creando un effetto straordinario a chi lo osservava agli inizi del III sec. a.C. Nella valle del Biedano nei pressi della Cava Buia è racchiusa nella fitta vegetazione la monumentale tomba Lattanzi, appartenuta alla famiglia dei Churcle con un doppio portico colonnato su podio con scaletta laterale e fregi e leoni scolpiti.
Norchia.jpg (11433 byte)Il centro abitato, forse Orcla, che ha originato tante sepolture è posto su un lungo e stretto pianoro di tufo tra il Biedano ed il fosso Pile; su di esso oggi spiccano i resti medievali del castello della famiglia Di Vico e della chiesa romanica di S. Pietro (XIII sec.). Sebbene la presenza dell’uomo sia già attestata nell’Età del Bronzo, l’acme di Norchia si ebbe nel corso del IV e III sec. a.C. Il pianoro inaccessibile per la caduta precipite delle rupi laterali è stato rafforzato dagli Etruschi (III sec. a.C.) nella parte meridionale con un profondo vallo, il più imponente d’Etruria, che va da un corso d’acqua all’altro con un rinforzo sul perimetro urbano di una cortina muraria formata da blocchi squadrati di tufo. A metà di esso era la porta d’accesso per la quale passava la Clodia il cui tracciato è molto ben conservato. La strada consolare, attraversato l’abitato di cui costituiva l’arteria principale, nel suo volgersi a Tuscania dopo aver superato il Biedano con un ponte (visibili i resti) arriva in quota sul pianoro opposto attraverso un profondo e suggestivo cavone lungo oltre 400 m. con pareti alte oltre l0 m. chiamato la cava Buia che costituisce l’ennesima attrazione di Norchia.

 

 

Come arrivare:
da Vetralla dirigetevi lungo l'Aurelia bis verso Monteromano.
A circa 15 km deviate a destra seguendo le indicazioni e arriverete ad un parcheggio. Da qui proseguite a piedi lungo il camminamento.
Numeri Utili di Blera

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 


 

Testo: P. GIANNINI (Ass.ne Guide Turistiche prov. di  Viterbo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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11 novembre 2011 5 11 /11 /novembre /2011 20:09
La città toscana, unita a quella cinese dall'arte serica, ospita una mostra di manufatti e documenti per raccontare mille anni di scambi commerciali e culturali tra Oriente e Occidente

12 novembre 2011 - 31 gennaio 2012

Atlante catalano

Atlante catalano

Un filo unisce Lucca e Hangzhou, un filo di seta: la città italiana e quella cinese, infatti, sono centri storici della produzione serica, l'una candidata a entrare nel Patrimonio dell’Umanità e l'altra già inserita nella lista Unesco. La mostra "La Via della Seta", allestita al Must - Museo della Città di Lucca, a Palazzo Guinigi, dal 12 novembre 2011 al 31 gennaio 2012, nell'ambito delle celebrazioni per l’Anno Culturale Cinese in Italia, racconta questo legame e, più in generale, gli scambi culturali e commerciali tra Oriente e Occidente.

Nell'esposizione si possono ammirare 130 capolavori dell’arte serica cinese, centroasiatica e lucchese, percorrendo un itinerario di oltre mille anni di storia, dalla dinastia Tang alla dinastia Ming. 

Nel Medioevo Lucca fu la capitale europea della Via della Seta; le sete provenienti dall'Oriente venivano lavorate in tessuti di grande raffinatezza, poi esportati in tutta Europa. La città diede vita a un'industria moderna, creando una mirabile sintesi tra ricerca, produzione e commercio.

Hangzhou, antica capitale della dinastia Song Meridionale, citata da Marco Polo nel Milione, è il principale centro di produzione serica in Cina tanto del passato quanto del presente.

Il percorso espositivo si articola in tre sezioni: la prima è dedicata a Lucca, con oggetti provenienti da collezioni pubbliche e private lucchesi; la seconda alla produzione e al commercio della seta tra Cina, Asia Centrale e Mediterraneo, con oggetti provenienti dal Museo della Seta di Hangzhou e da altre istituzioni pubbliche e private italiane; la terza alle tecniche di fabbricazione del mondo islamico e bizantino e alla loro diffusione in Europa, con oggetti provenienti da collezioni private italiane.

Tra i pezzi più significativi ci sono vestiti e tessuti (sciamiti, broccati, garze, ricami) di epoca Liao, Jin, Song e Ming, figure in terracotta rappresentanti cammelli battriani e mercanti centro-asiatici di epoca Tang, dipinti su seta di epoca Song e Yuan rappresentanti Gengis Khan, due grandi rotoli di epoca Ming che rappresentano i viaggi dell’imperatore, testi ufficiali che descrivono le tecniche di produzione e lavorazione e alcuni modelli di telai.
Si ammirano, inoltre, abiti festivi di alti dignitari, quattro insegne di rango di funzionari imperiali e un pannello in raso ricamato, tutti di epoca Qing.
Per quanto riguarda l’Asia Centrale, spiccano dodici vestiti da cerimonia in tessuto ikat prodotti in Uzbekistan nel XIX secolo.

Ai manufatti si affiancano volumi e atlanti provenienti dalla Biblioteca Statale di Lucca, che rappresentano l’evoluzione della cartografia occidentale della Cina e dell’Estremo Oriente prima (Tolomeo) e dopo Marco Polo (Ortelio, Mercatore, Blaeu, Jansson, Martini, d’Anville): prima dei suoi viaggi, infatti, le notizie giungevano in Occidente attraverso la mediazione dei vari popoli stanziati lungo la Via della Seta.
Dall’Archivio di Stato di Lucca provengono il manoscritto di Georg Christoph Martini Viaggio in Toscana del 1745, contenente le descrizioni e i disegni dei macchinari utilizzati dai filatori, tintori e tessitori lucchesi; campionari di stoffe, gli Statuti della Corte dei Mercanti con il famoso torsello (balla) di seta come simbolo della città, i registri delle imprese, la donazione da parte del vescovo al convento di San Romano di una serie di paramenti sacri in sete asiatiche.

La mostra è stata realizzata dal Comune e dalla Soprintendenza ai Beni Artistici, Storici, Ambientali e Architettonici di Lucca, dal Centro Studi Martino Martini sulle relazioni culturali Europa/Cina dell’Università di Trento, dal Museo Nazionale Cinese della Seta di Hangzhou.
I curatori sono Antonella Giannini (dirigente del Comune), Angelo Nencetti (responsabile Musei del Comune), Francesco Paolo Cecati, Antonia D’Aniello e Daniela Capra (Soprintendenza ai Beni Artistici, Storici, Ambientali e Architettonici); Domenica Di Giglio (esperta); Aldo Caterino (direttore del Centro Studi Martino Martini e storico del commercio e della navigazione), Elisa Gagliardi (docente di Storia dell’Arte Islamica all’Università di Chieti).
Hanno collaborato l'Archivio di Stato e la Biblioteca Statale di Lucca, la Collezione Negri Cambiagio di Vicenza, la Fondazione Ratti di Como, Allestimenti Gori Tessuti Calenzano Firenze, la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e il Museo Nazionale di Palazzo Mansi, col patrocinio del Ministeri degli Affari Esteri, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dell'Ambasciata Cinese in Italia.
I contenuti multimediali sono dell'Associazione culturale "Le vie scendevano a Oriente", Daniela Capra, Giovanni Tori, Reset Produzioni Audiovisive e Multimediali.
Immagini

 

Insegna di rango

 

Must - Memoria Urbana Storia e Territorio

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31 ottobre 2011 1 31 /10 /ottobre /2011 20:28

 

Diango Hernández - Tired Stop, 2008, sedia con segnale stradale, 178x60x60cm, edizione 2/2. Art Collection UniCredit
Mart, Rovereto
19 novembre 2011 - 26 febbraio 2012
A cura di Yilmaz Dziewior
 

 

 

Il Mart, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto presenta "Diango Hernández. Living Rooms, a Survey". A cura di Yilmaz Dziewior, la mostra si terrà dal 19 novembre 2011 al 26 febbraio 2012 nella sede principale del Mart, a Rovereto.

 

Diango Hernández nasce nel 1970 a Sancti Spíritus nell’isola di Cuba, e vive a Düsseldorf dopo una formazione culturale e professionale che dal suo paese natale lo ha portato per qualche anno anche in Trentino. Questa mostra è la prima retrospettiva mondiale dedicata al suo lavoro, dopo numerosi riconoscimenti internazionali: le acquisizioni da parte di collezioni pubbliche prestigiose come il MoMA di New York, e le partecipazioni alla Biennale di Venezia del 2005, a quelle di San Paolo e Sydney nel 2006, a quella di Liverpool nel 2010, e, nello stesso anno, alla Triennale Kleinplastik di Fellbach.

 

“Diango Hernández. Living Rooms, a Survey” comprende 36 opere dal 1996 ad oggi, tra cui disegni, installazioni, dipinti, video e due lavori site specific (“Resistere” e “A house without objects”), realizzati appositamente per il Mart.

 

Uno dei temi centrali della ricerca artistica di Diango Hernández è la riflessione sulle traumatiche e spesso incomplete, transizioni della società cubana: l’eredità dolorosa dello schiavismo, le contraddizioni della decolonizzazione e della rivoluzione castrista; la ricerca di un nuovo “futuro possibile” dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

 

Un altro tema ricorrente in queste opere riguarda la sfera personale dell’artista. Hernández lavora, infatti,“scavando” sul proprio vissuto e sul proprio bagaglio di relazioni, che intreccia e mette in connessione costantemente con riflessioni più ampie sul sociale e sulla politica.

photogallery
Opere
Diango Hernández - Giardino Tropicale, 2009, gambe di legno, cemento, dimensioni variabili. Collezione privata, Milano – Paolo Maria Deanesi Gallery
Diango Hernández - Power Pencil, 2007, pali della luce, isolatori e filo elettrico, dimensioni variabili. Paolo Maria
Deanesi Gallery
Orari: mar-dom 10-18 ven 10-21.
Come arrivare: A22 uscita Rovereto Nord. 
Tariffe: Intero €11, ridotto €7, famiglie €22.
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30 ottobre 2011 7 30 /10 /ottobre /2011 10:12
A Genova quattro performance accomunate dal rapporto con la città, la strada, gli alberi. L’i niziativa avrà un seguito a Torino e in due sedi francesi: Villeurbanne (Lione) e Marsiglia

29 ottobre 2011

La Compagnia Zerogrammi in Fare Albero

La Compagnia Zerogrammi in Fare Albero

I giardini della Villetta Di Negro a Genova ospitano, sabato 29 ottobre, la terza edizione di “Luoghi comuni”, il progetto euro-regionale che prevede la produzione e la circuitazione di quattro nuove creazioni di danza urbana grazie alla partnership di sette importanti organizzazioni italiane e francesi che promuovono la diffusione di questa forma d’arte. Le creazioni site specific dell’edizione 2011 ruotano attorno a tre tematiche: la strada e la danza, la Francia e l’Italia, l’arte e le città. Gli alberi sono gli elementi prescelti come “luogo comune” di performance.

Dopo il debutto a Genova, l’evento si trasferisce a Villeurbanne (Lione), a Torino e a Marsiglia. L’Associazione Artu di Genova, organizzatrice del festival “Corpi urbani/Urban bodies”,  è partner del progetto insieme a Lieux Publics - Centro Nazionale di Creazione a Marsiglia, Les Ateliers Frappaz - Polo regionale di arte urbana a Villeurbanne, il Centro Nazionale Coreografico di Maguy Marin a Rillieux la Pape, i festival Teatro a Corte della Fondazione Teatro Piemonte Europa e Interplay dell’Associazione Mosaico Danza.

Nuovi contesti e nuove forme ispirano la danza contemporanea, che si confronta in “Luoghi comuni” anche con lo spazio urbano. Scopo dell’iniziativa è quello di portare in scena una creazione artistica che abbia un linguaggio più accessibile a tutti, attingendo dal vissuto e dalla consuetudine in cui irrompe. L’iniziativa crea un punto di incontro tra il grande pubblico e gli artisti che, in tal modo, hanno l’opportunità di uscire dai luoghi canonici dedicati allo spettacolo, rinnovando le creazioni e facendole interagire con i contesti urbani, costituiti da un pubblico e da un non-pubblico, di autorità locali, urbanisti e

Delle quattro performance inserite nell’ambito del progetto, la prima Comme la main s’enroule, è ad opera della compagnia Kubilai Khan Investigations, con le coreografie di Frank Micheletti; in scena il corpo, ovviamente in movimento, che genera, però, una relazione tra la forza di gravità a cui oppone un forte radicamento al suolo e l’aspirazione al volo.

Jordi Galì porta in scena, invece, 22 Cailloux, creazione che si incentra sulla paradossale relazione fra leggerezza e peso; la coreografia ingloba in sé l’elemento dell’albero non solo come simbolo del corpo del danzatore, ma anche come sguardo dello spettatore con cui entra in contatto.

Corpi in tensione sono anche quelli di Stefano Mazzotta ed Emanuele Sciannamea della Compagnia Zerogrammi, che in Fare albero sono predisposti a uno stillicidio dell’immobilità che rasenta il sacrificio.

Per concludere Marta Bevilacqua inDafne effettua un’incursione contemporanea nel mito di questa figura selvaggia trasformata in alloro per fuggire all’amore di Apollo.
Collegamenti

In rete
   » Associazione Artu

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23 ottobre 2011 7 23 /10 /ottobre /2011 10:03

 

A Paestum la Borsa internazionale, XIV edizione

E’ l’unico Salone espositivo al mondo del patrimonio archeologico e prima mostra internazionale delle tecnologie virtuali. Ottanta buyers esteri selezionati, quindici i paesi di provenienza, trenta quelli presenti con i loro “tesori” archeologici. Ospite ufficiale della manifestazione, giunta alla XIV edizione, la Turchia.

Alla Borsa mediterranea del turismo archeologico, prevista come sempre a Paestum, in provincia di Salerno, nei giorni 17-20 novembre, ci sarà il meglio del patrimonio mondiale in esposizione, con l’accompagnamento di ministri, esperti di archeologia, operatori commerciali. Con il necessario aggiornamento della formula, che quest’anno vede come protagonisti anche esperti e fruitori di tecnologie virtuali. Come dire archeologia da campo e da monitor messi insieme.

Il programma mette nel conto che senza comunicazione non si va da nessuna parte e prevede, per questo, un incontro internazionale tra le diverse testate specializzate, italiane ed estere. Sono annunciati i ministri della cultura di Afghanistan, Iraq, Libano, Tunisia, Egitto, Giordania, Palestina, Cambogia. In seduta congiunta anche gli assessori regionali al turismo e ai beni culturali. Nella sezione ArcheoFilm in proiezione le pellicole vincitrici della rassegna di cinema archeologico di Rovereto. In quella etichettata come ArcheoLavoro si presentano i corsi di laurea e i master di settore. Non mancano il premio Paestum Archeologia, assegnato a personalità di rilievo, e i Laboratori di archeologia sperimentale sulla cultura antropologica e e il materiale dell’antichità.

Appuntamento a Paestum, quindi, da ogni parte del mondo, per apprezzare le archeo-risorse e trasformarle in occasioni di sviluppo turistico. La Campania, con la sua dote, tra le più rilevanti al mondo, sarà essa stessa una grande protagonista della Borsa.

 

Organizzazione, Coordinamento e Realizzazione
Provincia di Salerno
Settore Turismo e Cultura
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8 ottobre 2011 6 08 /10 /ottobre /2011 10:33
Dal 6 al 9 ottobre debutta a Milano il Festival della Fotografia Istantanea. Il programma prevede un'esposizione collettiva (oltre 200 istantanee), mostre personali di fotografi emergenti, mostre di artisti affermati (fra cui Maurizio Galimberti), workshop, conferenze e shooting di gruppo; inoltre letture portfolio, incontri con autori, una libreria, un museo temporaneo delle macchine Polaroid (partendo dalla prima messa sul mercato nel 1948, la model 95) e un mercatino dedicato alle macchine fotografiche a sviluppo immediato. L'iniziativa intende avvicinare il grande pubblico alla fotografia a sviluppo immediato, rivelandone il potere narrativo e le possibilità creative grazie anche alle nuove pellicole prodotte da The Impossibile Project, sponsor. Sedi della manifestazione, diretta da Manuel Colombo, Alan Marcheselli e Carmen Palermo, sono lo Spazio Concept, l'Istituto Italiano di Fotografia, l'Appartamento Lago, la Fnac e la galleria Barbara Frigerio Contemporary Art.
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