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12 febbraio 2016 5 12 /02 /febbraio /2016 10:41
A Merano una mostra che documenta alcuni dei più significativi impieghi del corpo femminile come mezzo espressivo. Presenti tutte le esponenti storiche e una rappresentanza di artiste più recenti

Merano Arte (Bolzano) propone dal 6 febbraio al 10 aprile una mostra sulla Body Art e sulla Performance Art al femminile dagli anni Sessanta a oggi. L’esposizione, intitolata “Gestures - Women in action” e curata da Valerio Dehò, documenta, mediante quaranta opere tra fotografie, video, oggetti e collage, alcuni dei più significativi impieghi del corpo come mezzo espressivo: tutte le esponenti storiche – Yoko Ono, Marina Abramovic, Valie Export, Yayoi Kusama, Ana Mendieta, Gina Pane, Carolee Schneemann, Charlotte Moorman, Orlan – sono presenti, insieme a una rappresentanza di artiste più recenti, quali Sophie Calle, Jeanne Dunning, Regina José Galindo, Shirin Neshat, Silvia Camporesi e Odinea Pamici.

Il progetto espositivo, realizzato in collaborazione con The Cultural Broker e 123 Art, segue un ordine cronologico, partendo da Yoko Ono, pioniera di questa corrente, già attiva negli anni Cinquanta nel movimento Fluxus; in mostra il celebre video e alcune fotografie della performance Cut piece (1965) e alcune immagini di Bed in (1969), eseguita col marito John Lennon. Il percorso procede con Marina Abramovic, con un video e alcune foto di Mario Carbone della performance Imponderabilia (1977), realizzata con il compagno e artista Ulay, e il video della performance svolta nel 2010 al MoMa di New York The Artist is present.

A seguire viene documentato il lavoro della cubana Ana Mendieta, che trae ispirazione dalla ritualità legata alle antiche culture indigene e a una forte radice trans-culturale, con particolare riferimento alla performance Blood sign (1972). In dialogo con quest’opera l’Azione sentimentale (1973) di Gina Pane. Tra le testimoni degli anni Settanta anche la giapponese Yayoi Kusama, attiva negli Stati Uniti come performer dagli atteggiamenti audaci legata al movimento hippie.

Si continua con due autrici che hanno messo al centro della loro riflessione la sessualità, i generi e la sofferenza delle donne: l’austriaca Valie Export e la statunitense Carolee Schneemann. Sul tema dell’ibridazione tra natura e tecnologia si è concentrata, invece, la francese Orlan, famosa per le operazioni di chirurgia plastica ed estetica attraverso le quali ha modificato il proprio corpo e il proprio volto utilizzandoli come materiali artistici.

L’itinerario prosegue con Sophie Calle, che in Mon ami (1984) esplora il tema dell’identità e dell’intimità femminile, e con un’altra performance di Marina Abramovic, Balkan Baroque, Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 1997. All’immagine dell’artista serba seduta in mezzo a una montagna di femori di manzo fa da contrappunto quella della statunitense Jeanne Dunning, in Long hole (1994-96), riflessione sulla fisicità,l’identità e la sessualità. L’iraniana Shirin Neshat col cortometraggio del 2001 Pulse rivolge, invece, l’attenzione al ruolo sociale della donna nelle società islamiche contemporanee.

Un delicato universo femminile è quello di Silvia Camporesi (Il sale della terra, 2006); un’altra italiana, Odinea Pamici, in Ballo per Yvonne (2005), gioca con gli stereotipi sulle donne. Per finire, gli “atti di psicomagia” della performer guatemalteca Regina José Galindo, la cui gestualità aggressiva sfida i limiti fisici e psicologici, trasformando il corpo nel teatro di un conflitto permanente.

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